Quella città era la Bari del Caffè Stoppani e del Gran caffè Risorgimento, del chiosco dell’acqua del Serino, sul corso Vittorio Emanuele, che dissetava i passanti con due bicchieri a un soldo; la Bari delle gite a San Cataldo e delle ville sulla via di Carbonara dove le famiglie benestanti passavano l’estate; la Bari dei gelatai ambulanti con le granite di limone, dello struscio al Corso, della cassarmonica sotto la Prefettura dove, la domenica mattina, la banda municipale diretta dal Maestro Annoscia, si esibiva intonando arie celebri.
La Sala Margherita aveva aperto i battenti il 5 settembre del 1910. Era stata costruita nell’ansa del porto vecchio, in pochissimo tempo, tra le polemiche. Comune e Demanio si attribuivano l’un l’altro la responsabilità di permessi concessi con troppa leggerezza. Ma tant’è, il teatro funzionava alla grande. La formula adottata era quella dello spettacolo di varietà: il teatro della sorpresa e dell’improvvisazione, cui il pubblico partecipava rumorosamente. Artisti nostrani e internazionali, comici, duettisti, cantanti, ma anche maghi, illusionisti, acrobati, forzuti, giocolieri, donne barbute e mangiatori di pesci vivi si avvicendavano sul palcoscenico: una babele di attrazioni prese in prestito dal teatro, dal circo, dall’operetta, dalla lirica e dallo sport.Non solo la realtà ma anche i modelli teatrali in voga erano sottoposti a implacabile parodia. Gli attori drammatici vi rappresentavano romanzi d’appendice a puntate. E alla fine della serata, anche il cinematografo…
In platea, la rappresentazione di una borghesia, quella barese dei primi anni del ‘900, che viveva la modernizzazione della città guardando a Napoli e a Parigi ma con uno spirito d’iniziativa e una capacità d’impresa tutti propri.
Quella barese era una borghesia pragmatica e fattiva che considerava il lavoro una forma etica. Se lavoravi duro e guadagnavi molto, eri una brava persona. Poche società, all’epoca, attribuivano un valore così alto al successo economico. Un atteggiamento, questo, che avrebbe garantito lo sviluppo della città nei decenni successivi.
Ma la medaglia presentava il suo risvolto. Il barese guardava al futuro e amava poco l’antico, lo sentiva vecchio. Per spirito affaristico e per il piacere di rinnovare e di ammodernare, interi edifici antichi furono cancellati senza rimpianti e sostituiti con strutture moderne. Più tardi i baresi si sarebbero resi conto che la loro città possedeva due centri storici: la città vecchia e il borgo murattiano, ma a quel punto, di quest’ultimo, molto era andato perduto per sempre.
Qualcuno ventilò l’ipotesi del dolo, ma le voci furono prontamente smentite. Il sospetto, tuttavia, rimase.
Sulle ceneri del teatro nascerà, tre anni dopo, il Kursaal Margherita. E’ il 1914. Un furioso incendio, ben più devastante, sta divampando in Europa, mettendo fine a quella stagione all’apparenza frivola e spensierata che passa sotto il nome di Belle Epoque.
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