C’era una volta un teatro di legno costruito sul mare. Un ponte lo collegava alla terraferma come un’isola. Oltre quel ponte, una città che all’epoca, nel 1910, contava quasi centomila abitanti. Ma la città continuava a crescere e ad ammodernarsi. Era arrivata la luce elettrica; erano state inaugurate le prime linee tranviarie urbane. Era la città che qualche anno prima Guglielmo Marconi aveva scelto come sede di una delle stazioni radiotelegrafiche più importanti d’Italia. Insomma una città vera, con tutte le contraddizioni di una grande città, dove miseria e ricchezza sfacciata convivono. Ma il lavoro non manca, la città è viva e in continuo fermento. I tanti locali notturni tra via Piccinni, via Melo e via Argiro sono frequentatissimi. La città possiede anche due teatri tra i più belli d’Europa e ha scoperto il cinema. La meravigliosa diavoleria dei fratelli Lumiére è diventata così popolare che nel 1904 ha violato perfino il Teatro Piccinni.

Quella città era la Bari del Caffè Stoppani e del Gran caffè Risorgimento, del chiosco dell’acqua del Serino, sul corso Vittorio Emanuele, che dissetava i passanti con due bicchieri a un soldo; la Bari delle gite a San Cataldo e delle ville sulla via di Carbonara dove le famiglie benestanti passavano l’estate; la Bari dei gelatai ambulanti con le granite di limone, dello struscio al Corso, della cassarmonica sotto la Prefettura dove, la domenica mattina, la banda municipale diretta dal Maestro Annoscia, si esibiva intonando arie celebri.

La Sala Margherita aveva aperto i battenti il 5 settembre del 1910. Era stata costruita nell’ansa del porto vecchio, in pochissimo tempo, tra le polemiche. Comune e Demanio si attribuivano l’un l’altro la responsabilità di permessi concessi con troppa leggerezza. Ma tant’è, il teatro funzionava alla grande. La formula adottata era quella dello spettacolo di varietà: il teatro della sorpresa e dell’improvvisazione, cui il pubblico partecipava rumorosamente. Artisti nostrani e internazionali, comici, duettisti, cantanti, ma anche maghi, illusionisti, acrobati, forzuti, giocolieri, donne barbute e mangiatori di pesci vivi si avvicendavano sul palcoscenico: una babele di attrazioni prese in prestito dal teatro, dal circo, dall’operetta, dalla lirica e dallo sport.

Non solo la realtà ma anche i modelli teatrali in voga erano sottoposti a implacabile parodia. Gli attori drammatici vi rappresentavano romanzi d’appendice a puntate. E alla fine della serata, anche il cinematografo…

In platea, la rappresentazione di una borghesia, quella barese dei primi anni del ‘900, che viveva la modernizzazione della città guardando a Napoli e a Parigi ma con uno spirito d’iniziativa e una capacità d’impresa tutti propri.
Quella barese era una borghesia pragmatica e fattiva che considerava il lavoro una forma etica. Se lavoravi duro e guadagnavi molto, eri una brava persona. Poche società, all’epoca, attribuivano un valore così alto al successo economico. Un atteggiamento, questo, che avrebbe garantito lo sviluppo della città nei decenni successivi.
Ma la medaglia presentava il suo risvolto. Il barese guardava al futuro e amava poco l’antico, lo sentiva vecchio. Per spirito affaristico e per il piacere di rinnovare e di ammodernare, interi edifici antichi furono cancellati senza rimpianti e sostituiti con strutture moderne. Più tardi i baresi si sarebbero resi conto che la loro città possedeva due centri storici: la città vecchia e il borgo murattiano, ma a quel punto, di quest’ultimo, molto era andato perduto per sempre.

Nemmeno un anno dopo l’inaugurazione, la mattina del 20 luglio del 1911, del Salone Margherita, posto sul mare a chiusura del Corso, non era rimasta che una catasta di legno fumante, che il mare magnificamente calmo continuava a lambire. Un incendio aveva distrutto il teatro, bruciando in una notte costumi di scena, arredi e speranze.
Qualcuno ventilò l’ipotesi del dolo, ma le voci furono prontamente smentite. Il sospetto, tuttavia, rimase.
Sulle ceneri del teatro nascerà, tre anni dopo, il Kursaal Margherita. E’ il 1914. Un furioso incendio, ben più devastante, sta divampando in Europa, mettendo fine a quella stagione all’apparenza frivola e spensierata che passa sotto il nome di Belle Epoque.